In questi ultimi tempi ci si è chiesto quali fossero le reali motivazioni che spingono la cancelliera Merkel a impoverire il contesto europeo, imponendo politiche di bilancio restrittive tanto da impedire alla UE una crescita in termini di investimenti pubblici e di contribuzione allo sviluppo o al salvataggio delle imprese in difficoltà. È chiaro che, formalmente, si tratta di regole previste dalla legislazione europea, ma sappiamo tutti che l’ispiratrice incontestabile di questa normativa è la Germania della Merkel.
Ebbene, la risposta che personalmente intendo proporre non è incoraggiante, anche se contiene margini di visionarietà impossibili da evitare per chi ragiona in termini di medio-lungo periodo e ad ampio raggio geografico.
Tracciamo brevemente un panorama della destra europea, prima in termini numerici, poi con qualche considerazione sui programmi che, nel complesso, mostra di perseguire.
Al centro nord del Continente assistiamo a una sorta di riedizione dell’Impero Austroungarico da parte di una destra variegata, in crescita costante. In Ungheria il JOBBIK (acronimo di Associazione di giovani di destra), nato nel 2002, passa dal 2,2% delle elezioni parlamentari del 2006 al 20,22% delle ultime consultazioni per l’Assemblea legislativa di Budapest. Da molti oppositori interni e dalla stampa occidentale il JOBBIK, con l’associata Guardia nazionale, è considerato senza mezzi termini un partito fascista.
In Austria, l’FPO, Partito della libertà austriaco, considerato unanimemente un partito di destra nazionalista e populista, è passato dall’11,2% delle elezioni federali del 2006 al 36,40% di voti andati al proprio candidato Rorbert Hofer al primo turno delle elezioni presidenziali del 2016. L’esito di queste elezioni ha determinato la caduta del governo del cancelliere Faymann, che si è dimesso anche dalla guida del partito socialdemocratico il 10 maggio scorso. Poi, a sorpresa e in misura risicatissima, vince al secondo turno delle presidenziali il settantaduenne verde Van Der Bellen, che ha coalizzato tutte le forze che si opponevano all’avanzata della destra; in realtà le cose per il nuovo presidente non si prospettano facili, in primo luogo perché deve in ogni caso tener conto dell’altra metà degli austriaci che ha votato a favore della destra, poi perché la sua è una coalizione raccogliticcia dalle varie anime, con il dato più rilevante costituito dalla scomparsa dei partiti tradizionali, il socialdemocratico e il popolare. Da notare che alle elezioni europee del 2014 il leader dell’FPO Strache aveva raggiunto un accordo con altri partiti di destra europei – il FN francese, il PVV olandese e la Lega Nord italiana – , accordo che dura poco per il deludente esito della consultazione.
In Germania il partito Alternativa per la Germania, fondato nel 2013 da Bernd Lucke, dopo alcune tornate elettorali nelle quali non riesce a superare lo sbarramento dell’8%, con la nuova guida di Frauke Petry, eletta dal Congresso di Essen nel luglio 2015, consegue un ottimo risultato nelle elezioni regionali del 2016; i toni populisti e antiislamici spingono Lucke a lasciare il partito che aveva fondato e a dare vita ad Alternativa per il Progresso e il Rinnovamento (AD).
Il caso della Germania è un caso particolare, non soltanto perché, nella sostanza, è la Germania che guida la politica dei governi europei, quanto perché, proprio per la sua supremazia nel Continente, è alle sue vicende che guardano con speranza le forze della destra europea. In effetti, il comportamento della Merkel è ambiguo: da un canto accoglie gli emigranti (soprattutto siriani, che sono i più acculturati), dall’altro si oppone a qualsiasi ipotesi di sostegno economico ai Paesi più esposti ai flussi migratori (se si fa eccezione per i 6 miliardi concessi alla Turchia per ragioni di strategia geopolitica). Ma la Merkel, con la sua politica, anche se vive una stagione difficile soprattutto all’interno del suo stesso partito, per la destra europea è importante per l’opera di sostanziale demolizione delle strutture economiche, politiche e sociali del resto d’Europa: consapevolmente o meno, la cancelliera tedesca indebolisce quel fronte che potrebbe opporsi alla crescita delle destre omofobe, neonaziste e allergiche all’ipotesi di una Comunità Europea credibile.
Tralasciando, per motivi di spazio, un’analisi su quel che, sotto la nostra ottica, succede nei Paesi dell’Est e del Nord Europa, per i quali occorrerebbe un discorso a parte, resta da parlare della situazione francese e di quella italiana.
Per quel che riguarda la Francia, le vicende della destra francese sono abbastanza note. Sintetizzando al massimo, diremo che, uscita vincente in una congiura di palazzo assai complicata contro il padre Jean Marie Le Pen, fondatore del Fronte Nazionale, Marine Le Pen, associata per l’occasione alla Lega Nord italiana e al Partito della Libertà austriaco, alle Europee del 2014 ottiene il 24,9%, facendo del FN il primo partito di Francia. Alle successive elezioni dipartimentali il Fronte migliora ancora, attestandosi al 25,19%. Attualmente la Francia è scossa da moti popolari per una legge sul lavoro (molto simile all’italianissimo Job’s Act) che il presidente Hollande vuole imporre alla nazione.
Il caso italiano, per l’economia del discorso che vogliamo fare, è di gran lunga più interessante perché il partito renziano indica con chiarezza e semplicità il percorso che le singole destre nazionali debbono compiere per arrivare al governo dei singoli Paesi, per poi compiere il salto di qualità di realizzare le loro aspirazioni universalistiche. Il PD, infatti, si è allocato in una zona neutra di centro-destra, a fini elettorali, diciamo, “di bocca buona”. Senza il minimo senso di pudore ha imbarcato dai cattolici conservatori ai patetici transfughi del berlusconismo, dalla platea dei verdiniani, utili soltanto a salvare acriticamente il governo nelle sue difficoltà parlamentari, ai giovani e meno giovani virgulti anch’essi vetero berlusconiani, di dichiarata vocazione conservatrice, solleciti a ricattare il governo quando questo prova a spostare il baricentro verso posizioni di maggiore apertura sociale. Ai margini, per il momento, quella che, potenzialmente potrebbe essere l’ala militare (CasaPound e le formazioni parafasciste, presenti e attive in Italia), indispensabile quando si sarà compiuta la svolta presidenzialista e, di fatto, dittatoriale della società italiana.
Voi direte che questa sia una visione eccessivamente pessimistica sul futuro di questo povero nostro Paese, ma, se non ci faremo distrarre dai vaniloqui dei politici vagamente consapevoli ma impotenti (i Bersani, i Cuperlo e via dicendo) o collusi (quasi tutti gli altri), oltre che dai grandi e piccoli mezzi d’informazione di massa, ci accorgeremmo che quello che paventiamo fa già parte del presente. Renzi è già, nei fatti, una figura presidenzialista, che guida una coalizione che gli consente di raggiungere tutti i suoi obiettivi: vanificare i poteri del Parlamento, demolire la Costituzione, ridurre progressivamente la capacità operativa della magistratura. È responsabile, poi, di una fiscalità che penalizza lavoratori, famiglie e pensionati; di una riforma pasticciata sulla scuola; di un’università e una ricerca abbandonate al loro destino di precarietà: il tutto a fronte del denaro fresco destinato a coprire le grandi falle del sistema bancario; in buona sostanza, un continuo trasferimento di denaro dai più poveri ai più ricchi, con un sistema sociale sempre più disgregato, impoverito e impaurito.
Questo, in pratica, il viatico suggerito dall’Italia renziana alla destra europea. In buona sostanza: solleticare la pancia di un elettorato moderato, allergico alla politica intesa come scelta di campo, sino a raggiungere un numero consistente di consensi. Compiuta questa operazione, mostrarsi credibile ai poteri forti per ottenerne il sostegno finanziario e poi sottrarre alla popolazione – poco per volta ma decisamente – quel poco o molto di democrazia e di conquiste sociali che, con gli anni e con lotte assai dure, era riuscita a conquistarsi.
Adesso e per concludere, la parte visionaria del mio ragionamento: proviamo ad immaginarci che, ad un momento dato, emerga un personaggio (con o senza baffetti, con o senza orbace) con un carisma tale da aggregare tutta le destre europee sulla base di parole d’ordine che siano suggestive per tutte, magari una nuova crociata dei cristiani contro un islam minaccioso, nemico dei tradizionali valori dell’Occidente e pronto a violare i nostri confini.
L’esito di una tale eventualità lo lascio alla vostra immaginazione
La dura realtà è che qui brucia la casa e noi, tutti noi, decidiamo di restarci dentro pensando di rimanere al caldo negli inverni rigidi.
Antonio Cardella.